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Content is (more and more) king

3 minute read | Lorenzo Facchinotti | April 2017

L’attenzione degli investitori pubblicitari nei confronti dei branded content è sempre maggiore. Lo IAB (Internet Advertising Bureau) ha dedicato al tema un seminario all’inizio di aprile. All’interno di questa categoria, che raggruppa forme di comunicazione pubblicitaria ad alto contenuto di intrattenimento e/o di informazioni, si colloca il native advertising. Questo tipo di advertising consiste in una serie di formati in cui il contenuto sponsorizzato viene proposto con un taglio giornalistico e impaginato con uno stile grafico in linea con quello della sezione o rubrica del sito che lo ospita. Le piattaforme di content discovery, grazie ad appropriati algoritmi, segnalano tali contenuti ai target selezionati.

Nielsen ha misurato per Outbrain, player attivo nel content discovery, 18 campagne di native advertising lanciate in Italia. La misurazione è stata effettuata inserendo un tag, che si attiva al momento del click, all’interno degli annunci. Sono stati costruiti così due cluster: utenti esposti e utenti non esposti ai contenuti editoriali, gemelli per profilo demografico.

Secondo la rilevazione, la brand awareness media è salita di 2 punti percentuali, mentre la favorability e l’intention to buy sono cresciuti rispettivamente di 5 p.p. e di 3 p.p. In entrambi i casi l’uplift è più elevato del benchmark calcolato sulle campagne digitali display e video con valori paragonabili. Le performance sono ancora più rilevanti sul target 18-44 anni. La crescita della brand awareness su questo target è tre volte più elevata rispetto a quella registrata sul totale della campagna, mentre la favorability e l’intention to buy aumentano di 8 p.p. e di 5 p.p. Le cause di questi risultati sono da ricercare nelle caratteristiche sia del target, sia del formato pubblicitario. Da una parte, coloro che rientrano in questa specifica fascia di età (che comprende i millennial) sono abituati a utilizzare internet per raccogliere informazioni su prodotti e servizi durante il processo di acquisto. Dall’altra il native advertising si presenta come un formato non invasivo (e quindi non soggetto all’ad blocking) che ha come obiettivo quello di attirare l’attenzione del consumatore offrendo dei contenuti per lui rilevanti.

Dal punto di vista della brand image, il native advertising offre la possibilità di accrescere la familiarità. Presso il cluster degli esposti alla campagna aumenta del 3% la quota di coloro che affermano di “conoscere bene le caratteristiche del prodotto/servizio”. Parallelamente aumenta dell’8% la percezione di fiducia nei confronti dei brand promossi.

Il native advertising non si propone solo come un luogo di accrescimento della conoscenza di prodotti e servizi, ma anche come un luogo di rilancio del dialogo con il consumatore da parte della marca. Il 36% degli intervistati (senza distinzione tra esposti e non esposti) pensa che questo formato spinga a cercare ulteriori informazioni in rete. Un numero uguale di rispondenti, pensa inoltre che esso sia uno strumento efficace nel sottolineare le caratteristiche distintive di quanto offerto dalle aziende, che possono quindi usare questa forma di comunicazione per illuminare di “nuova luce” i loro prodotti/servizi. Le performance dipendono ovviamente dalla qualità dei contenuti proposti. Il termine qualità va qui inteso con una duplice accezione: sia come qualità formale del contenuto (la sua dimensione “estetica”), sia come qualità informativa (ovvero la sua capacità di suscitare interesse nei confronti del consumatore). Il native advertising si caratterizza per essere uno strumento che integra quindi efficacemente le altre forme di advertising generali, la cui vocazione è quella di raggiungere ampie audience, supportando sia i KPI di brand, sia il livello della stessa comunicazione pubblicitaria.

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